Unirsi e concentrarsi su una conquista limitata
Gandhi è stato il primo uomo politico a pensare che la difesa contro un potere soverchiante potesse riuscire più facilmente attraverso metodi pacifici anziché violenti. Questa idea era forse ancor più sconvolgente allora che ai nostri tempi, ma si è rivelata efficace con la liberazione dell’India dall’impero britannico. L’idea era: uniamoci per infliggere un danno all’impero su un punto limitato purché sentito dalla gente, come la tassa sul sale, senza però usare violenza, cioè spostandosi su un piano diverso da quello del potere, un piano nonviolento. La lezione gandhiana quando è stata applicata si è rivelata efficace, ma ciò è avvenuto in pochi casi, dato che si è continuato a credere nella efficacia della violenza; così le guerre hanno continuato a mietere vittime innocenti. Oggi poi col trumpismo dilagante le guerre diventano anche commerciali e le attese di pace si fanno più flebili. Ma vediamo come si sta trasformando la società, dove si nasconde la violenza e quali possibilità rimangono per combatterla.
La violenza pervade la società attuale non tanto nelle forme tradizionali sanguinarie, quanto in forme nuove e nascoste dietro la potenza dell’economia e della pubblicità. Una crisi economica, ad es., può essere causa di danni psicologici che sfociano spesso nel suicidio, una forma estrema di violenza. Chi provoca una crisi economica ne è responsabile. Ma ancora: se vedi una persona in pericolo e invece di aiutarla disquisisci sul che fare, compi in realtà una violenza (per omissione). Se dai a qualcuno un oggetto che potrebbe fargli male, gli fai una violenza (in forma indiretta). Se consumi qualcosa che provoca danni a chi l’ha prodotta, sempre sei di fronte a una violenza, sia pure indiretta, così come se guidi veloce in mezzo ai passanti. Se mangi una bistecca proveniente dalla deforestazione con violenza sugli indigeni, ne sei in parte responsabile. Se vedi una strage di innocenti e non ne sei indignato, potresti esserne complice, in base al principio: chi tace acconsente.
La pubblicità è ciò che più esprime e fomenta la violenza psicologica: si ammanta di poesia e di bellezza per rendersi attraente, ma in realtà produce effetti assai dannosi, specie a livello educativo. Molto raramente ormai la pubblicità ha uno scopo informativo, che potrebbe anche giustificarla. Di solito è fatta per ripetere il più possibile il nome di una marca o di un candidato alle elezioni, perché l’acquirente o l’elettore se ne ricordi e lo preferisca ad altri, a prescindere dal merito. Sembra incredibile ma questo avviene ancora oggi, pure nei paesi altamente “sviluppati” e segnala un ritorno alla plutocrazia, cioè del governo dei ricchi, che possono permettersi le forti spese della pubblicità. Quanto all’aspetto educativo, sostanzialmente la pubblicità promette la felicità grazie all’acquisto del prodotto reclamizzato; il meta-messaggio di tanta pubblicità è che la felicità deriva dagli acquisti, dal denaro e non da rapporti positivi con le persone. Un freno alla socialità e un invito all’individualismo e al consumismo, gravi malanni della società odierna.
Un primo passo se si volessero affrontare alla radice problemi grossi come la guerra e il riscaldamento globale dovrebbe essere quello di porre pesanti limiti alla pubblicità e agli altri strumenti di convinzione occulta. Purtroppo oggi anche le istituzioni ricorrono sempre più allo strumento “violento” della pubblicità: i soldi si spendono rapidamente, forse si ottiene qualche modifica nel comportamento, ma certamente senza convinzione o maturazione educativa. Sembra arduo promuovere con la pubblicità valori sostenibili come: rispetto per gli altri, accettazione delle diverse opinioni, sobrietà, cultura della salute, senso del limite ecc. Per diffondere questi valori si richiede forte impegno nel settore culturale ed educativo.
È possibile applicare la ricetta gandhiana nella odierna società violenta? Unirsi per ottenere un risultato limitato ma sentito dalla gente? La pace è certamente un desiderio di tutti, in tutti i paesi del mondo. L’ostacolo principale, come già notava Kant, è l’ambizione dei dittatori. Bisogna dunque lottare sia contro i regimi autoritari esistenti (molti purtroppo), sia contro la loro continua estensione, resa possibile anche dalla facilità di ingannare l’opinione pubblica attraverso strumenti mediatici sempre più raffinati e pervasivi; oltre alle forme più tradizionali, come quelle di creare il nemico o di far scomparire eventuali competitori. In una situazione così compromessa, Gandhi probabilmente suggerirebbe di unire i popoli su un tema molto sentito da tutti, come la pace o la riduzione delle spese militari. Una possibilità forse lontana, certamente difficile ma non da escludere a priori, sarebbe quella di conferire a una autorità internazionale (già esistente o da creare) la gestione degli eserciti. In tal modo la loro funzione verrebbe gradualmente ridotta fino a un impegno di semplice polizia e le enormi spese militari, finalizzate alla reciproca distruzione, potrebbero essere rivolte invece alla costruzione: come la riforestazione per frenare la crisi climatica, l’educazione per promuovere la crescita umana o la cultura della pace. Potrebbe anche essere l’occasione per interrompere finalmente il “circolo vizioso” tra creazione di nemici e rafforzamento dei regimi autoritari.