Clima, salute, guerra: sono queste le massime preoccupazioni del mondo attuale. Sembrano tre settori completamente separati, ma se approfondiamo scopriremo che esistono forti nessi tra loro, ed è possibile individuare cause e rimedi comuni. Le cause vanno ricercate ovviamente nei rapporti degli uomini tra loro e con la natura. Rispetto a pochi decenni addietro il rapidissimo progresso scientifico ci consente oggi di conoscere molto più di questi rapporti e di vedere come sono mutati anche rispetto al passato lontano. Sappiamo ad es. che l’umanità è stata nomade per gran parte della sua esistenza, attorno a 200 mila anni, mentre la stanzialità, col conseguente sviluppo dell’agricoltura e della civiltà, risale a periodi assai più recenti, sull’ordine dei 10 mila anni. Pertanto la nostra struttura profonda è improntata forse più dal genere di vita nomade che da quello stanziale; la ricerca sulla vita dei nomadi potrebbe aiutarci anche a migliorare il rapporto con la natura e la nostra salute.

Con l’avvento dell’agricoltura questo rapporto è cambiato molto. Mentre in precedenza gli uomini raccoglievano ciò che la natura offriva, gli agricoltori cercarono di piegare la natura ai propri interessi: un atteggiamento di colonizzazione del territorio e della natura. Ma forse più importante è vedere come sono mutati i rapporti tra gli uomini. Nel nomadismo non esistono gerarchie: magari un maggiore riguardo per gli anziani saggi, ma non qualcosa che consenta di dire chi è il capo e chi il sottoposto. Con la stanzialità invece le cose cambiano: la proprietà della terra e la divisione del lavoro (oltre a credenze religiose) consentono ad alcuni di prevalere sugli altri e di arricchirsi. Comincia così la gerarchia e lo sfruttamento dei servi da parte di chi detiene il potere (basti pensare all’incredibile quantità di lavoro servile per costruire 4000 anni fa piramidi alte quasi 150 metri). I grandi innegabili vantaggi della civiltà sono oscurati dallo sfruttamento – che può diventare eccessivo – della natura e degli altri uomini da parte di chi è al potere. La nostra tesi è che alla base delle tre emergenze elencate all’inizio – clima, salute, guerra – vi sia, oltre alle scelte economicistiche, cioè che danno la priorità all’economia e al guadagno, il disprezzo e lo sfruttamento della natura e delle persone. Specifichiamo come.

Per il clima è facile comprendere come l’alterazione sia sostanzialmente la conseguenza di un eccessivo ricorso all’energia fossile per consentire la forte crescita economica degli ultimi secoli, alimentata, in un circolo non sempre virtuoso, tra produzione, consumismo economicistico, pubblicità, creazione di nuovi bisogni, spesso superflui. L’energia fossile è stata accumulata nel sottosuolo nel giro di milioni di anni per ridurre i gas serra dall’atmosfera, così da rendere il clima adatto alla vita dell’uomo; noi li estraiamo, li utilizziamo bruciandoli e ne ributtiamo in atmosfera la conseguente CO2. Così nel giro di pochi decenni stiamo tornando quasi al clima dei dinosauri. Si rendono necessari mutamenti radicali nei comportamenti e nelle tecniche. Ad es. il carbonio tratto dalla legna anche con metodi tradizionali, potrebbe essere incorporato nei terreni agricoli, con grandi vantaggi per la fertilità e la resistenza alla siccità.

Per la salute pure ci sono state scelte di consumismo che hanno alterato l’approccio più tradizionale, anche se già ai tempi di Molière non era assente l’ipocondria (v. qui). Invece di prevenire le malattie, considerando la salute, come recita lo statuto dell’OMS del 1948, “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia” – ciò che comporterebbe un potenziamento delle difese naturali contro ogni patologia – si è preferito curare, magari in modo specialistico anziché olistico, le singole malattie quando insorgono. La prevenzione oggi si limita a qualche vaccino, spesso obbligatorio, ignorando quasi del tutto le difese naturali e gli accorgimenti per potenziarle – vita attiva, sobrietà alimentare… Così sono comparsi virus sempre più ribelli, che non consentono molte speranze in una definitiva soluzione dei problemi. Anche per la salute, dunque, si può parlare di un allontanamento dalla natura, se non proprio un suo sfruttamento. Ma certamente c’è sfruttamento del paziente-consumatore, che deve sostenere le conseguenze di un approccio improprio.

Per la guerra il problema è ancora più complesso. Bisogna anzitutto chiarire la falsità della diffusa credenza dell’”homo homini lupus”: Hobbes, Schopenhauer e altri autori più antichi come Plauto, che l’hanno divulgata da secoli, credevano che nello “stato di natura”, senza leggi imposte, gli uomini si ammazzassero comunemente tra loro per la sopravvivenza. Oggi sappiamo che probabilmente non era così: recenti ricerche antropologiche dicono che la guerra e la violenza sulle persone si hanno soltanto dopo la stanzialità, prima non ci sono segnali di violenza sugli uomini, ma solo sugli animali per la caccia. Come per tutti gli altri animali, si può ritenere che anche gli uomini primitivi non esercitassero violenza su altri membri della propria specie, se non eccezionalmente. Le neuroscienze poi hanno scoperto che l’atteggiamento violento nei bambini non è innato, ma nasce dall’esempio che percepiscono negli adulti.

Contro l’individualismo. Recenti studi scientifici sulle capacità di convivenza sociale di Homo sapiens hanno scoperto una correlazione tra il particolare sviluppo del lobo frontale del suo cervello (a differenza di H. neandertahliensis e H. longi) e le nuove connessioni nervose capaci di mediare empatia, solidarietà e cooperazione con altri membri di una comunità relativamente piccola ma molto affiatata. Sette prove scientifiche sostengono l’ipotesi della nostra natura genetica nonviolenta. Le tre culture umane (medio-oriente, Asia, America) che, indipendentemente, 10-6,000 anni fa hanno inventato l’agricoltura, hanno anche inventato (solo culturalmente) e più tardi (5,000 anni fa) la violenza, la quale si è rapidamente disseminata (con la forza) nel mondo.
La nostra nonviolenza naturale è stata artificialmente inibita dai sistemi di potere violenti che hanno imposto un nuovo deleterio sistema di vita umano per il loro specifico vantaggio: hanno scoraggiato la vita comunitaria a vantaggio di un individualismo competitivo che considera le persone fuori della propria famiglia come concorrenti ostili da contrastare. Questo non è normale per gli esseri umani e causa del nostro diffuso malessere sociale. Una prima importante “innovazione” sarà difendere i nostri bambini dall’individualismo e restituire loro il diritto naturale di essere solidali e cooperativi tra loro, anche per difendere il patrimonio naturale. Purché, ovviamente, vi sia l’esempio degli adulti.

Normalità della guerra. Nonostante le recenti acquisizioni (che pochi hanno interesse a divulgare), nonostante le dichiarazioni dell’ONU, la globalizzazione dell’economia e delle informazioni, gli sforzi di chi ragiona e ne vede l’assurdità, specie con l’incombenza nucleare, oggi il ricorso alla guerra sembra tornato un fatto normale. L’Ucraina e la Palestina ci preoccupano perché relativamente vicini ai nostri confini, ma non sono certo le uniche guerre nel mondo. Così gli stati si riarmano, si spendono soldi e si fanno ricerche per uccidere e distruggere di più, anziché per le ben diverse urgenze per salvare il mondo.

Non possiamo non chiederci il perché di questi rigurgiti bellici in un mondo sempre più connesso, globalizzato, immateriale, così lontano dalla clava (presunta) dei primitivi. Una prima risposta è riferita agli squilibri – tra paesi, ceti, territori, persone – oggi crescenti quasi ovunque. Le differenze potrebbero essere la principale causa di fondo della violenza. Ma più significativa è forse la considerazione che le guerre fanno comodo al potere: il nemico ci minaccia, dobbiamo difenderci, stando uniti sotto chi comanda. La gente – che patisce le conseguenze – è quasi sempre contraria alla guerra, come già notava Kant, ma sono i sovrani e i dittatori a volerla. Ecco perché, se si vuole una pace duratura, il popolo deve capire e contare, deve esserci una democrazia reale. Invece i governi autoritari stanno diventando la maggioranza nel mondo, specie come numero di popolazione. Pertanto non dobbiamo abbassare la guardia sul pericolo di nuove guerre devastanti dovute a dittatori o aspiranti tali. I sovranisti, i presidenzialisti, i nostalgici della nazione e del governo forte, sono avvertiti. La presunta maggiore efficienza del governo autoritario non merita il rischio di guerra. Ma la guerra non è certo l’unico strumento del potere: pubblicità, informazione, educazione, cultura, oltre alla già ricordata salute, sono altri sterminati campi di intervento per distrarre l’attenzione da quanto servirebbe all’interesse generale. L’importante è che la gente lo capisca, abbia senso critico, cioè sia cresciuta. Ecco dunque l’importanza della crescita umana per la pace, così come per la salute e la salvezza climatica del pianeta.

Questo sito vuole essere uno strumento di discussione, di approfondimento e di divulgazione di quest’ordine di idee – spesso controcorrente – necessarie per ricuperare la naturale capacità di solidarietà e cooperazione tra cittadini e la saggezza di trovare soluzioni nonviolente ai conflitti. Proteggere la natura e le comunità umane sta diventando più che mai urgente, e il sito vuole contribuirvi. La crescita umana dovrebbe avere maggiore rilevanza sia sul piano economico che su quello politico. Per entrambi prevale ancora la già ricordata idea economicistica, che presuppone la superiorità dell’economia nella vita. Ma è ben evidente l’insufficienza di questa visione, che tende a nascondere e svalutare tutto ciò che non produce profittocompresi i valori più preziosi nella vita: amore, amicizia, bellezza, conoscenza…

Da tempo anche l’ONU ha introdotto nelle sue analisi l’idea di sviluppo umano, riconoscendo le distorsioni di quello soltanto economico. Sul piano della scienza economica la crescita umana potrebbe addirittura esserne considerata il nuovo “paradigma” (v. qui). In una economia arcaica il paradigma era l’agricoltura, l’attività produttiva primaria per eccellenza. Nei primi studi di economia del 15-16° secolo l’attenzione si spostò sugli scambi commerciali, che allora fiorivano, mentre in seguito, con gli economisti classici, il paradigma divenne la produzione industriale, oggetto appunto della Rivoluzione industriale. Oggi la scienza economica mainstream è ritornata agli scambi commerciali, ma questa scelta potrebbe essere viziata dall’adozione del metodo marginalista e dall’ideologia liberista. L’economia attuale è sempre più basata sui beni immateriali: software, brevetti, ricerca, cultura… che possono persino consentire guadagni assai più alti dei beni materiali. Pertanto ciò che meglio la interpreta dovrebbe essere la capacità di comprendere dove va il mondo e di adeguarvisi, cioè l’aspetto qualificante della crescita umana.

Decrescita materiale, crescita immateriale. Anche nel dibattito politico potrebbe rivelarsi prezioso il parametro della crescita umana: domandarsi se i vari provvedimenti in discussione la favoriscono o no, potrebbe indicare quanto pesino interessi particolari, potentati, pregiudizi, ideologie. Potrebbe smascherare l’assurdità di certe proposte demagogiche come il ponte sullo stretto. La crescita umana richiede investimenti in direzione ben diversa e, rispetto al consumismo materialistico imperante, vorrebbe più la sottrazione che l’aggiunta. Il campo alimentare, sopra menzionato, non è certo l’unico: siamo continuamente spinti a soddisfare bisogni superflui, quando non dannosi. Il nostro pensiero è condizionato da strumenti sempre più pervasivi ed efficaci. Paure e nemici creati ad arte, arcaici nazionalismi, richiami strumentali (Dio, patria, famiglia) ci inducono a scegliere certi consumi e votare certi partiti. La capacità di non farsi influenzare sta ancora e sempre nella nostra crescita umana. Un’ultima annotazione: non dovremmo aver paura di parlare di decrescita se limitata all’ambito materiale: decrescita materiale purché ci sia crescita immateriale, cioè umana.

Ovviamente in questo sito dedicato alla crescita umana non si parlerà soltanto dei grandi problemi dell’umanità sopra accennati, ma ci sarà spazio anche per tutto ciò che la può favorire: educazione, arte, letteratura, tecnologia, scienza.

Il presente sito vuole approfondire alcuni aspetti personali e sociali della crescita umana fornendo materiale didattico e divulgativo. In particolare le schede didattiche qui contenute, finalizzate a facilitare l’accesso ad alcuni concetti, seguono i presenti criteri formali:

  • sono in prevalenza testi brevi (di norma non superiori alle due pagine) e tendenzialmente utilizzabili da soli, indipendentemente dalle altre schede;
  • l’aggiunta al titolo (solitamente sintetico) di un sottotitolo esplicativo del contenuto (il catenaccio, nel gergo giornalistico);
  • l’articolazione del testo in paragrafi di media lunghezza, preceduti da un sottotitolo in grassetto con l’evidenziazione delle parole o frasi più significative;
  • l’aggiunta delle parole-chiave (tag) per la ricerca elettronica e in taluni casi di un breve questionario finale per riflettere sui contenuti più significativi del testo.

Il materiale è tratto da articoli, lezioni, relazioni, dibattiti, libri, per i quali è sempre indicato l’autore e la fonte. I testi non firmati sono redazionali. Le schede si ispirano a quella che alcuni burloni hanno chiamato “regola delle minigonne”:

  1. abbastanza corte per destare interesse;
  2. abbastanza lunghe da coprire l’essenziale;
  3. essere aderenti alla vita, cioè alle cose che contano;
  4. avere uno spacco per non pretendere di esaurire l’argomento, ma alludere a qualcosa in più che vale la pena di scoprire.

Chi siamo

Pippo Ranci

Economista

Vittorio Possenti

Filosofo

Piero Giorgi

Neurofisiologo Esperto di Nonviolenza

Luigi Ranzani

Biblista

Luigi De Carlini

Responsabile Redattore