Ponte per costruire un futuro più umano

Liberamente tratto da: Marco Aime, Comunità, il Mulino 2019, pp.128.

È nascosta nel profondo di ciascuno di noi l’idea (o ideale) di comunità: il motivo probabilmente risale al fatto che homo sapiens ha vissuto per qualcosa come 200 mila anni da nomade in piccole comunità tribali solitamente inferiori al centinaio di persone, senza nessun’altra struttura superiore (governi, principati, …), né gerarchie, né proprietà. La comunità tribale era dunque l’unico riferimento. Caratteristica di ogni comunità è che le persone si conoscano tutte faccia a faccia ed abbiano rapporti di empatia e solidarietà fra loro. L’attitudine alla empatia e alla socialità, presente anche in altri primati, è stata dimostrata scientificamente per l’uomo da parte di ricercatori italiani. Molto visibile ancora oggi nei piccoli centri e nei villaggi rurali, il senso di comunità nasce dalla volontà di non pensarsi diversi, di voler condividere spazi e tempi, di pensare insieme a un domani comune. Oggi sempre più ne sentiamo la mancanza.

La dilatazione delle aree urbane e la frammentazione del lavoro hanno inferto un primo colpo a quei rapporti faccia a faccia che ci facevano sentire parte di una comunità. Il cittadino è diventato più solo e isolato. La città finisce così per frammentare il suo spazio e i legami fra le persone, dando vita ad aggregazioni ridotte, che non si trasformano mai in comunità vere e proprie. A questo si aggiunga la crescente rapidità di movimento. L’accelerazione impressa alle nostre esistenze e ai flussi di informazione che quotidianamente ci avvolgono, ci hanno portato a vivere un eterno presente, privo di passato e di memoria. Il qui ed ora diventano preponderanti rispetto al tempo passato e a quello futuro. È la surmodernità, un’accelerazione della storia in cui la rapidità ha annullato le distanze e pertanto il tempo prevale sullo spazio. Il progressivo venir meno di quei rituali collettivi che contribuivano a mettere in scena una società, induce una progressiva perdita della memoria e del senso di appartenenza. I rapporti si fanno più fugaci, meno durevoli.

La presenza di tecnologia mobile, sempre più massiccia, interferisce non poco nella formazione delle relazioni umane. La sola presenza di telefoni mobili inibisce lo sviluppo della vicinanza e della fiducia e riduce l’estensione entro cui gli individui provano empatia e comprensione per i loro partner. Il medium digitale priva la comunicazione della tattilità e della corporeità e questo rischia di condurre a una sorta di progressiva scomparsa della controparte reale. La conversazione richiede tempo e spazi, che siamo sempre meno disposti a concedere. L’individualismo della società urbano-industriale ci spinge a rinchiuderci sempre più nella nostra bolla senza rafforzare quella capacità di introspezione utile a comprendere noi stessi, gli altri e il mondo fuori. Dal face to face si è passati allo screen to screen.

Condivido dunque sono, questo sembra essere il nuovo slogan, ma condividere è molto meno di convivere. Per convivere occorre avere un orizzonte comune, dialogare, costruire legami e amicizie durature. I legami tra le persone, che stanno alla base di ogni comunità, si fondano sullo scambio e sulla fiducia reciproca ed entrambi hanno bisogno di sentimenti e di parole condivise. Quando tali legami si sfilacciano, si erodono, allora si crea la chiusura, ci si rifugia nell’identità, si comincia ad escludere gli altri. Quando ai ponti si sostituiscono muri e porte, la comunità si chiude e muore. “La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo” ha detto Nietzsche. Di ponti abbiamo bisogno anche per guardare avanti. Il futuro, nostro e degli altri, è su un’altra sponda: come raggiungerla? Con la coscienza e la responsabilità che dovremmo provare per chi viene dopo di noi. Sono questi i materiali che dobbiamo usare per costruire il ponte.

Contrabbando di idee. Se non riusciamo a costruirlo allora facciamoci contrabbandieri, come diceva Langer. Se al mondo c’è chi traccia confini disegnati su presunte identità, su false razze, sul colore della pelle, allora dobbiamo cercare di attraversare quelle frontiere, di frodo magari, per portare al di là della riga ciò che manca. È questo che facevano i contrabbandieri. Il contrabbando è un’attività illegale, ci si muove ai margini, ma spesso risulta necessaria alla sopravvivenza di una comunità. La storia dell’umanità intera è fatta di contrabbando: come si è diffusa la scrittura, l’agricoltura, la scienza? Grazie al contrabbando di idee da una comunità all’altra. Oggi è il tempo di contrabbandare la coscienza, la coscienza di essere tutti umani.

AUTORE

Crescita Umana

CATEGORIA

DATA

5 Aprile 2023

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