Dal consumismo alla sobrietà, dai consumi materiali a quelli immateriali, dalla crescita economica a quella umana.

Pubblicità istituzionale. Parlate male ma parlate di me. Questo genera quella ripetizione pubblicitaria che ha consentito a Hitler la conquista del potere. Nonostante le tragiche conseguenze, questa pratica è ancora molto in voga in politica, specie nei suoi rigurgiti populisti. Si può anche notare un crescente ricorso alla pubblicità da parte delle istituzioni: pubblicizzano località turistiche, monumenti, intere province o regioni, specialità culinarie, comportamenti sanitari ecc. La ripetizione pubblicitaria agisce sull’inconscio, così che, sul bancone del negoziante come nella cabina elettorale, si sceglie impulsivamente il nome più sentito, magari anche contro la ragionevolezza. Questo costituisce uno dei fattori di violenza della pubblicità, la quale pertanto dovrebbe essere limitata e controllata, specie in politica. Altrimenti si rischia di trasformare la democrazia in plutocrazia, asservita ai ricchi, che possono vincere grazie a soldi spesi in pubblicità. Ma, a parte questo, la domanda è se la pubblicità può indurre un comportamento virtuoso, come ad es: pensare agli altri, pagare le tasse, o magari diffondere valori. Sembra arduo sostenerlo e se si dovesse ottenere qualche risultato sarebbe di breve durata, senza convinzione, come una moda. Per il settore pubblico è meglio certamente operare sul piano informativo ed educativo, anziché buttare soldi (pubblici) nella pubblicità, come spesso vediamo.

Consumismo. Ma quali valori dovrebbero essere diffusi oggi, dopo il trionfo del trumpismo e le crisi ecologiche e belliche? Per rispondere è bene gettare un rapido sguardo sui valori, o mode o disvalori che si erano diffusi in precedenza. Nei primi decenni del dopoguerra, con la rapida ripresa generale collegata alla ricostruzione, si diffuse un largo senso consumistico: una reazione alle strettezze e alla fame della guerra, alimentata anche da un’interpretazione, non sempre corretta, dei principi di Keynes, allora dominanti in economia. Egli aveva scoperto che il consumo è un fattore fondamentale per la crescita economica e il superamento delle crisi congiunturali, al punto che lo Stato, magari indebitandosi, doveva assoldare operai per scavare buche e poi richiuderle – cioè per fare persino lavori inutili – perché in tal modo i consumi degli operai prima disoccupati avrebbero potuto contribuire a riavviare l’economia. Si noti come in questa ottica non importa la qualità del lavoro svolto, né la qualità del consumo, se di beni essenziali o superflui, se produttivo o distruttivo. Pertanto l’atteggiamento consumistico si diffuse in tutti i campi, compresa alimentazione, energia, forse persino la guerra, provocando molteplici conseguenze negative. Ma il consumatore figurava quasi come un eroe, un benefattore dell’umanità. Termini come risparmio o sobrietà venivano considerati residui di un passato ormai lontano. Anche il tempo veniva ristretto: interessava il presente, poco il futuro e ancor meno il passato.

Liberismo. Il consumismo ebbe una ulteriore spinta negli anni ‘80 col ritorno del liberismo e della concezione individualistica (la Thatcher sosteneva che la società non esiste, esiste solo l’individuo). Veniva teorizzata l’ottimalità universale delle scelte operate dal mercato e la riduzione al minimo dell’intervento dello Stato, di cui veniva negata la funzione orientatrice nell’economia, lasciando libero sfogo agli egoismi individuali e di gruppo, dai quali, secondo questa strana teoria, sarebbero discese le scelte più vantaggiose per tutti. Un altro effetto del liberismo è stato l’esplodere delle diseguaglianze. I dirigenti delle grandi aziende, disponendo per primi dei dati produttivi, legarono astutamente le loro remunerazioni all’andamento di borsa, in parte manovrabile da loro stessi, ottenendo guadagni stratosferici rispetto agli altri dipendenti. Seppero anche tenere a freno l’opinione pubblica con giustificazioni fittizie come il merito. Il caso più eclatante è stato forse quello dei giganti del web. Dietro ad essi ci sono giovani che nel giro di poco tempo hanno raggiunto da zero le vette della massima ricchezza al mondo. Nessun’altra attività, forse neppure quelle speculative o illegali, forse in tutta la storia dell’umanità, hanno consentito di accumulare tanta ricchezza in breve tempo. Il segreto sta nell’aver sfruttato una notevole qualità dei beni immateriali, oggetto della loro attività: quella di non essere perduti da chi li vende, pertanto di poter essere rivenduti indefinitamente, con guadagni altrettanto indefiniti; purché lo Stato ne garantisca il monopolio legale. Quello che colpisce è come abbiano potuto convincere l’opinione pubblica di non essere in presenza di una sostanziale ingiustizia, anche perché si tratta spesso di una taglia su beni immateriali che sarebbero invece da favorire. Analogo atteggiamento è stato tenuto di fronte alle speculazioni immobiliari e finanziarie, oggetto di molti “intraprendenti” operatori.

Occasioni di ripensamento del modello di sviluppo consumistico si sono accentuate negli ultimi decenni in seguito all’alterazione del clima e oggi, con la rimonta del bellicismo. Dopo il covid la ricerca scientifica, spinta dal profitto, è follemente impegnata a trovare nuovi vaccini. Viene praticamente ignorata la possibilità di rafforzare le difese naturali umane, compromesse da decenni di consumismo, specie alimentare. Questo rafforzamento ha il grosso “difetto” di non costare nulla e non generare profitti. Altrettanto ignorata l’alternativa di spostare i consumi da quelli più materiali, distruttivi e inquinanti (auto, cibi, viaggi, …) a quelli più immateriali (cultura, istruzione, sport, arte, …) che meglio consentono la crescita umana. In definitiva: dalla pubblicità all’informazione ed educazione; dai consumi indifferenziati a quelli essenziali o produttivi; dall’individualismo alla socialità; dai valori dell’avere a quelli dell’essere; dai beni privati a quelli pubblici; dai beni materiali a quelli immateriali; dalla crescita economica a quella umana: queste alcune sfide cui siamo chiamati dalle crisi sempre più preoccupanti conseguenti al capitalismo consumistico, materialistico, disordinato che abbiamo sperimentato. I pubblici poteri dovrebbero riprendere la guida dei processi in atto, perseguire una strategia coerente, fornire una informazione corretta e pluralistica, senza nascondere le ragioni degli oppositori. Altrimenti si realizza un principio violento che Oscar Wilde ha tratto dalla ripetizione hitleriana: “C’è una cosa al mondo peggiore del parlar male di qualcuno: non parlarne”.

AUTORE

Crescita Umana

CATEGORIA

DATA

20 Gennaio 2023

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