È quella educativa, che vede l’Italia classificata agli ultimi posti; colpa non tanto della scuola quanto delle famiglie, dei media e del disinteresse della politica.

Liberamente tratto da: Orazio Giancola e Luca Salmieri, La più nascosta delle povertà, Menabò n. 203, 15/11/2023

https://eticaeconomia.it/la-piu-nascosta-delle-poverta/

Bibliografia: Orazio Giancola, Luca Salmieri, La povertà educativa in Italia. Dati, analisi, politiche Carocci, 2023.

La scarsa scolarità, specie ai livelli più elevati, è un fattore significativo, ma certamente non l’unico, nella spiegazione della particolare debolezza del nostro paese nel campo educativo. Questa debolezza è documentata accuratamente nei suoi vari aspetti, come: competenze basilari di lettura, comprensione, scrittura, calcolo e problem solving. Il nostro paese è tra i più poveri d’Europa da questo punto di vista, anche se non dal lato della povertà economica. La povertà educativa è, d’altra parte, un fenomeno poco considerato da noi, forse perché, appunto, relegato alla responsabilità della scuola e oscurato dalla ricchezza economica. Dato che il cambio del clima e la perfezione della tecnica ci portano verso una società sempre più immateriale, è ovvio che la povertà educativa non può non gettare forti preoccupazioni sull’avvenire del nostro paese e sulla sua capacità di reggere il confronto rispetto ad altre società con maggiore scolarità e più elevati livelli nelle competenze di base.

Cultura. Questi due fattori, scolarità e competenze di base, si cumulano tra loro: chi ha un basso livello di istruzione è probabile che lo abbia pure nelle competenze di base; ma queste ultime possono essere scarse anche tra chi è diplomato se, lasciata la scuola, ha smesso di allenarle nella vita quotidiana, nel lavoro e nel tempo libero. Lo sfruttamento delle competenze di base è associato al tipo di occupazione di una persona più che al suo livello di istruzione. E ancor più dei fattori relativi al tipo di occupazione, sono le attività e le pratiche culturali extralavorative che influiscono sul mantenimento delle competenze di base e sulla loro propedeuticità rispetto a competenze più complesse. Ai due indicatori sopra richiamati, si lega quindi una terza dimensione (meno osservabile ma non per questo meno rilevante) che rimanda alla povertà educativa in termini di mancanza di atteggiamenti positivi nei confronti dell’apprendimento e della cultura. È forse su questi atteggiamenti che si dovrebbe insistere specie a livello politico, magari senza trascurare il valore anche utilitaristico della cultura.

I media. La cultura di massa in Italia si è formata dapprima sul versante dei consumi materiali, molto meno, o almeno in modo improvviso, ma tardivo, sul fronte della partecipazione piena e attiva di tutti gli strati sociali a pratiche culturali che ne stimolassero le competenze di base. Inoltre, lo sviluppo pieno dei media di massa nazionali, avvenuto soltanto a seguito del boom economico, è stato superiore alla loro capillarità e penetrazione, con aree geografiche e gruppi sociali che vi accedevano in ritardo, con una frequenza di strumenti e risorse di decodifica così bassa da coglierne soltanto le funzioni sensazionalistiche, di svago o di intrattenimento. Parimenti, la mancanza di politiche culturali ha frenato la saldatura tra l’espansione dell’istruzione e la partecipazione culturale. Questa dinamica si è poi riprodotta nel tempo, rimanendo una questione ancora aperta e sicuramente distante dall’agenda delle politiche pubbliche.

Il ruolo della scuola va considerato all’interno del più ampio problema della storica bassa istruzione e debole partecipazione ad attività culturali. La povertà educativa degli italiani non può discendere dalla supposta decadenza dell’attuale sistema di istruzione. Come spiegare altrimenti i livelli così bassi di competenze di molti adulti di oggi che dalla scuola sono usciti diversi decenni fa? Gli attuali livelli di qualità, efficacia ed efficienza del sistema scolastico possono mai spiegare la povertà educativa endemica di coloro che hanno completato il percorso di istruzione 30 o 40 anni fa? Per dimostrare la fallacia della tesi dello scadimento della qualità dell’istruzione bisogna tenere conto degli effetti del contesto extra-scolastico.

La trasmissibilità intergenerazionale della povertà educativa è ampiamente documentata nello studio. Da una generazione all’altra, come in un circolo vizioso, il peso del background familiare, delle disuguaglianze di origine sociale e di opportunità, le differenze nei comportamenti e nelle pratiche della vita quotidiana, così come i divari nella qualità e nel contenuto delle occupazioni, alimentano il diverso rischio di cadere nella povertà educativa, al di là dell’effetto potenzialmente equalizzatore della scuola. Tre sono le rilevanti concatenazioni nella trasmissione della povertà educativa tra genitori e figli: 1) un significativo effetto dell’origine socioculturale ed economica degli studenti sui livelli di apprendimento in lettura, matematica e scienze; 2) un’influenza altresì rilevante dalla composizione socio-economica e culturale della scuola che gli studenti frequentano; 3) un effetto prodotto direttamente dall’origine socioculturale ed economica sulla scelta del tipo di scuola (licei versus tecnici e professionali oppure istituti scolastici prestigiosi versus istituti scolastici periferici).

Concludendo. La povertà educativa è dunque solo in parte attribuibile all’inefficacia dei sistemi d’istruzione nel ridurre le disuguaglianze di origine della popolazione studentesca. Esiste una radicata dinamica di trasmissione intergenerazionale della povertà educativa: bassi livelli di competenze di base dei genitori sono correlati a scarsi stimoli culturali durante i processi di alfabetizzazione scolastica e di apprendimento formale. Pertanto, non solo le politiche educative e le riforme scolastiche, ma soprattutto le politiche di contrasto alla povertà dovrebbero meglio focalizzarsi sulla povertà educativa per spezzare le catene della sua trasmissione intergenerazionale. Il contrasto alle varie forme di povertà dovrebbe esprimersi in primo luogo riconoscendo che quella educativa è una povertà “nascosta”, ma che produce danni evidenti in tutte le sfere del sociale nel corso della vita delle persone. In secondo luogo, le azioni di prevenzione e contrasto dovrebbero articolarsi in una pluralità di interventi di lungo termine configurando un processo continuo e diffuso di apprendimento lungo tutto l’arco delle vita e che interessi trasversalmente i molteplici ambiti della quotidianità (non solo quello scolastico): la famiglia, i luoghi di lavoro e di apprendimento; le relazioni amicali e il tempo libero; i consumi e le tecnologie mediali e digitali; la vita pubblica e la sfera della salute e del benessere.

AUTORE

Crescita Umana

CATEGORIA

DATA

24 Luglio 2024

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